Descrizione
AUTORE: Marco Patrone
TITOLO: L’Estate del Pollo – L’Animale Umano: 9
CO-EDIZIONE: Leima Edizioni
GENERE: Drammatico
ANNO: 2016
PREZZO: Gratis
FORMATO: .pdf
ISBN: 9788894042030
SINOSSI:
Il paziente di un raffinato istituto di riabilitazione psichiatrica si mette a nudo e racconta con voce spontanea e confidenziale i suoi lunghi mesi all’interno della struttura. In un’estate dallo spirito invernale, il protagonista ci conduce per una visita turistica in un ambiente dove nessun individuo sano di mente potrebbe [e vorrebbe] alloggiare. Un ritratto in negativo dove personaggi quasi alieni si muovono in un contesto intangibile, assorto, e al tempo stesso invalicabile.
Vietato introdurre lamette, taglierini, forbici, corpi contundenti. No Foto.
adriana pedicini –
Ho letto il racconto di Marco Petrone” L’estate del pollo”. L’ho trovato dolce e dolente, ma non spocchioso, non forzatamente dotato di monito o di insegnamento palese. Si tratta del racconto di un’esperienza, anzi di due esperienze di disagio. Una di chi si mette in discussione e accetta i suoi limiti, le sue colpe, il senso di fallimento e, ponendosi in una situazione neutra, come quella in cui “naturalmente” vive il gallo, attende che la natura faccia il suo corso, si presta docile alla trasformazione che i giorni, la vita stessa compiono su di noi che ci illudiamo di essere padroni e arbitri del nostro destino, e ci affanniamo a costruire sovrastrutture, a potenziare doti e talenti, a imparare il mestiere del vivere con l’unico risultato di perdere il nostro sé profondo seppellito da un cumulo di macerie e da colpi di testa contro il muro della non-conoscenza di ciò che davvero siamo. Scotto che paghiamo per sembrare perfetti, potenti, essere umani che sanno la vita e che hanno in tasca la soluzione ad ogni problema. Ma la vita ha altre regole. Le basta poco, il soddisfacimento dei bisogni naturali e necessari, per toccare quello stato di grazia che non possiamo chiamare felicità, perché non sappiamo cosa sia la vera felicità, ma è una condizione placida di assenza di turbamento. Ben rappresenta questo stato, secondo me, la collina dove il nostro protagonista guarda come a un paradiso terrestre, dove ama passeggiare e dove la sua anima si libra (libera) in volo. Questo ha appreso nella sua permanenza al convento, ma forse già lo sapeva. Ma è lì che si è spogliato completamente dei suoi ruoli ed è emerso il suo Io per fortuna integro e intatto. L’alter ego è Autoaccusa (ma potrebbe avere un altro nome cambiando la patologia) il quale non demorde, non accetta di passare sotto silenzio, qualcosa (qualche ossessione) ai suoi occhi e alla sua alienata coscienza deve ergersi in quell’altalenante peccato di eccesso “di vigore”, che è la violenza verso di sé o verso gli altri. Non ho le competenze per dire quanto ciò dipenda dalla volontà, da cause organiche o psicologiche. Anzi vorrei tanto sapere cosa spinga un essere umano a colpevolizzarsi fino al delirio, oppure, se scende in campo a scopo difensivo l’amor proprio, a vedere negli altri (spesso nel partner) la causa di tutti i mali e di tutti i problemi. Chiaro che ci troviamo dinanzi a una psiche distorta o disturbata, di fronte alla paura di sentirsi un essere inutile e incapace, di fronte al timore di perdere il controllo sul mondo. Direi che tutto ciò potrebbe essere frutto anche di un’educazione (erroneamente) austera il cui fine sia di “fare” figli obbedienti e perfetti, anche se infelici. Attendo altri commenti per capirne di più. La comunicazione? Certo c’è una grande carenza di comunicazione in un mondo dove le notizie in un nanosecondo giungono dall’altra parte del mondo. Intendo comunicazione fatta di sguardi, di silenzi, di parole non dette, di sorrisi nella gioia condivisa, di muto dolore nel lutto, ma anche di parole dette nel momento giusto col tono giusto con sincerità senza ipocrisia senza la dannata voglia di sembrare più che di essere. Un’ultima cosa: racconto che procede in modo piacevole, senza orpelli, che va dritto alla meta. Complimenti all’Autore.